di Eugenio Ciamprone
A partire dal 2014 le Borse del Nord America e del vecchio continente hanno iniziato a registrare maggiori performance da parte delle aziende che avevano integrato nei loro processi i criteri ESG – Environmental, Social and corporate Governance.
In Europa, principalmente per effetto dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015, gli investimenti ESG sono diventati una vera e propria strategia e le aziende non possono ormai non tener conto di questo aspetto.
Nel giro di pochi anni, infatti, i criteri ESG sono passati dall’essere dei criteri “nice to have” a dei criteri “must have” per le aziende.
La crescita di questa rinnovata attenzione per i tre principi è stata accompagnata nel tempo da numerosi interventi istituzionali, a partire dalle Nazioni Unite che individuarono dei principi al fine di guidare le scelte dei processi di investimento.
Le aziende che si sono impegnate ad aderire ai principi per gli investimenti responsabili hanno incorporato le tematiche ESG nelle proprie politiche aziendali, nell’analisi e nei processi di investimento.
Inoltre, si sono impegnate a cercare gli stessi fattori anche nelle controparti e a cooperare in tal senso, a promuovere la responsabilità sociale d’impresa e a documentare e diffondere le attività e i progressi in tale ambito.
Tutto questo per intercettare la spinta dell’Unione Europea che ha posto la sostenibilità ambientale e sociale al centro delle proprie politiche e ha varato il Piano d’Azione per finanziare la crescita sostenibile al fine di raggiungere gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile entro il 2030.
Esclusione, Integrazione e Impatto
I criteri di definizione di un investimento sostenibile possono essere raggruppati in tre macro voci: Esclusione, Integrazione e Impatto.
I criteri di selezione possono essere “positivi” o “negativi”. Un criterio “negativo” è ad esempio l’Esclusione. In questo caso gli asset manager che compiono le loro scelte di portafoglio e selezione dei titoli adottando questo criterio escludono le aziende che operano in settori non socialmente responsabili come armi, pornografia, tabacco, test su animali, scommesse ed energia nucleare.
Il criterio “negativo” può essere associato anche ad un Paese, come quelli che esercitano la pena di morte o non rispettano i diritti umani.
Per quanto riguarda i criteri di selezione “positivi”, uno di questi è l’Integrazione dei fattori ESG, ovvero al fine di costruire i portafogli di investimento vengono valutati aziende e Paesi per i quali viene riscontrato o dichiarato l’impegno in ambito ESG. Vengono presi in considerazione, infatti, attori attenti alla riduzione delle emissioni di Co2, alla corretta gestione dei rifiuti e che utilizzano energie rinnovabili.
Vengono preferite, inoltre, le aziende che in ambito sociale rivolgono particolare attenzione alla salute e al welfare dei dipendenti, ai diritti dei lavoratori, alle condizioni di lavoro e che sviluppano relazioni con le comunità e gli enti locali. Per quanto riguarda la buona governance le stesse devono rispettare la trasparenza e mettere in atto politiche di anticorruzione, remunerazione del management e dialogo con gli stakeholder.
Sempre nell’ambito dei criteri di selezione “positivi” lo strumento dell’Impact investing riguarda gli investimenti realizzati con l’obiettivo di generare un impatto sociale e ambientale positivo e misurabile unitamente ad un rendimento finanziario. Il punto di riferimento per gli investimenti ad impatto sono proprio i 17 Sustainable Development Goals (SDG) dell’Agenda ONU 2030. Alcuni esempi di Impact investing sono i green o social bond, il social housing e la microfinanza.
Perché è importante l’integrazione dei fattori ESG
Nell’ultimo European SRI Study del 2018, l’Eurosif, la principale associazione europea per la promozione e il progresso di investimenti sostenibili e responsabili, rivela una crescita sostenuta per la maggior parte delle strategie di investimento sostenibile e responsabile in quanto l’SRI è diventato parte integrante della gestione dei fondi europei i quali articolano meglio le loro strategie di investimento.
Infatti, mentre l’adozione di strategie basate su criteri come l’Esclusione registrano un calo del 7% rispetto al biennio precedente, risultano essere premiati dal mercato gli approcci ai criteri “positivi”: sia l’Integrazione ESG che l’Impact investing continuano a crescere registrando un CAGR a 6 anni superiore al 50% e sono destinati crescere ulteriormente man mano che queste strategie diventeranno sempre più allineate con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
Tale scenario impone l’utilizzo di nuove competenze e di nuove informazioni sulla vita dell’azienda differenti dalle analisi finanziarie classiche che hanno guidato finora le scelte di investimento.
Un esempio è l’utilizzo della data science e degli Alternative ESG. L’analisi della combinazione dei dati interni (dati tradizionali, pubblicati dalle aziende stesse) con i dati “alternativi” esterni (dati generati dagli stakeholder sul web), aiuta le aziende nel posizionamento rispetto agli impegni di sostenibilità e performance ESG; contribuisce, infatti, alla valutazione della sostenibilità aziendale rispetto al contributo a ciascuno dei 17 Sustainable Development Goals (SDG) dell’Agenda ONU 2030 al fine di indirizzare azioni e investimenti.